Informativa 24/2018 Criptovalute

Informativa 24/2018 Criptovalute

CESSIONE DI “TOKEN DIGITALI”: PROFILI FISCALI

L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al regime fiscale ai fini IVA, IRES e IRAP, per le cessioni di “token digitali”: nel caso in esame una società intende emettere un utility token, ovvero un token che consente al possessore di ottenere beni e servizi dall’emittente, e venderlo al pubblico attraverso una “ICO” (Initial coin offering). L’istanza di interpello è finalizzata a conoscere il trattamento fiscale di tale operazione in riferimento alle persone fisiche.

Il “bitcoin” è una tipologia di moneta “virtuale”, o meglio “criptovaluta”, utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria.

La circolazione dei “bitcoin”, quale mezzo di pagamento, si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge.

Si tratta, pertanto, di sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione.

L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, aveva già fornito interessanti chiarimenti sul trattamento tributario ai fini IRES e IRAP delle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali, nonché sul trattamento ai fini IVA delle operazioni di acquisto/vendita di monete virtuali effettuate da tali società.

I tecnici delle Entrate con la citata risoluzione evidenziano che le criptovalute, inoltre, hanno due ulteriori fondamentali caratteristiche:

  • In primo luogo, non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (ad esempio smartphone), nei quali vengono conservate in “portafogli elettronici” (cd. wallet) e sono pertanto liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, senza bisogno dell’intervento di terzi;
  • in secondo luogo, i “bitcoin” vengono emessi e funzionano grazie a dei codici crittografici e a dei complessi calcoli algoritmici.

NOVITA’

L’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 14 del 28 settembre 2018, dal titolo “Regime fiscale (IRES, IRAP ed IVA) relativo alla offerta di token digitali art. 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212” ha fornito interessanti chiarimenti ad una società che intende emettere un utility token, fornendo alcune indicazioni sul trattamento fiscale delle operazioni di Initial Coin Offering (ICO).

Con tale acronimo si definiscono quelle forme di raccolta di capitali basate sulla tecnologia blockchain e utilizzate sempre più spesso da start-up e soggetti che intendono reperire fondi tra il pubblico dei risparmiatori ed investitori per finanziare uno specifico progetto di portata innovativa.

I token danno diritto a ricevere un servizio o un bene nei termini seguenti.

IL QUESITO OGGETTO DI INTERPELLO

La società istante intende emettere un “utility token”, ovvero un token che consente al possessore di ottenere dei beni o servizi, e venderlo al pubblico attraverso una “Initial Coin Offering” (di seguito, ICO).

A tal fine, l’istante attraverso un documento denominato “whitepaper” stabilirà:

  • l’ammontare minimo e massimo dei token da offrire sul mercato;
  • il valore di ogni token in termini di valuta corrente ovvero di valuta virtuale;
  • la quantità di valuta corrente o di valuta virtuale necessaria per comprare un token;
  • il valore dei beni e servizi che potranno essere resi al compratore del token, successivamente all’ICO, ovvero la quantità di token necessaria per ottenere un determinato bene o servizio;
  • il numero di token emessi in aggiunta a quelli offerti, che la società si riserva di mante-nere come propri.

Tali token potranno essere comprati pagando il prezzo mediante valuta virtuale o valuta corrente (euro o dollari). Al termine dell’offerta al pubblico (ICO), la Società avrà venduto in tutto o in parte la quota dei token emessi, ottenendo in cambio sia valuta corrente (euro e dollari) che criptovalute.

La società istante chiede chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile, ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP) e indirette (IVA), alle operazioni di cessione dei token e di conversione delle criptovalute (bitcoin o ethereum) in valuta corrente.

La società istante si pone, inoltre, l’esigenza di chiarire quale sia il trattamento fiscale da applicare in capo al percettore (amministratori, dipendenti e a qualsiasi altro soggetto) nel caso in cui la società corrisponda compensi in forma di token.

L’Agenzia delle Entrate evidenzia, in via generale, che le Initial Coin Offerings (ICO) costituiscono una forma di finanziamento, utilizzata da start-up o da soggetti che intendono realizzare un determinato progetto, resa possibile tramite la tecnologia blockchain.

Generalmente accade che l’impresa emittente offre al pubblico (normalmente tramite un cd. “whitepaper”) un progetto da finanziare attraverso la vendita di token digitali di un dato valore ai soggetti interessati (principalmente, persone fisiche non esercenti attività di impresa commerciale).

Attenzione: I soggetti che aderiscono a tali iniziative acquistando token, in sostanza, effettuano un investimento del proprio risparmio remunerato in vario modo.

Profili IVA

Ai fini dell’applicazione dell’IVA, con riferimento alla cessione degli utility token da parte della società verso corrispettivo a privati consumatori, l’Agenzia delle Entrate è del parere che gli stessi presentino caratteristiche tali da essere tendenzialmente assimilati ai voucher, quali strumenti che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi.

Secondo un precedente orientamento (risoluzione Agenzia delle Entrate del 22 febbraio 2011, n. 21/E) l’emissione e la circolazione dei voucher non assumono rilevanza IVA, non configurandosi quale anticipazione della cessione/prestazione cui i “buoni” stessi danno diritto. La rilevanza fiscale, e quindi l’applicazione dell’IVA, si assume dunque al momento dell’utilizzo del voucher, ossia all’atto dell’acquisto del bene/servizio che lo stesso incorpora.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla società, l’Agenzia delle Entrate è dell’avviso che la cessione degli utility token sia più correttamente riconducibile ad una mera movimentazione finanziaria, non rilevante agli effetti dell’IVA e che l’imposta si renderà esigibile solo al momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati con la spendita dei token.

Imposte dirette

Con riferimento alle imposte sui redditi, per quanto riguarda l’operazione di cessione degli utility token da parte della società istante, qualora sul piano contabile l’operazione sia rappresentata come una mera movimentazione finanziaria in applicazione dei corretti principi contabili, l’Agenzia delle Entrate ritiene che la stessa non assuma autonoma rilevanza fiscale ai fini IRES.

Conseguentemente, ai fini delle imposte sui redditi, le somme incassate a seguito dell’assegnazione degli utility token non incidono sulla determinazione del periodo d’imposta in cui concorrono alla formazione della base imponibile i beni e/o le prestazioni di servizi cui hanno diritto i possessori dei buoni regalo.

I componenti di reddito relativi alla cessione dei predetti beni e/o all’erogazione delle citate prestazioni di servizi saranno rilevanti al momento:

  • della relativa imputazione al conto economico (ai sensi dell’art. 83 del T.U.I.R., per i soggetti diversi dalle micro-imprese);
  • in cui la cessione dei beni e/o la prestazione dei servizi è considerata effettuata (ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 109 del T.U.I.R.), per le micro-imprese.

IRAP

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le somme incassate a fronte dell’assegnazione dei citati utility token non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.

Compensi ai propri amministratori e dipendenti

Nel caso in cui una società eroghi compensi ai propri amministratori e dipendenti sotto forma di token, tali remunerazioni costituiscono redditi di lavoro dipendente per i percettori, da assoggettare a ritenuta d’acconto, a condizione che, nel periodo d’imposta, il “valore normale” da attribuire a tale forma di retribuzione sia superiore a 258,23 euro.

Redditi realizzati da persone fisiche

Ai fini della tassazione dei redditi realizzati dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di una attività di impresa, che detengono gli utility token, l’Agenzia delle Entrate ritiene che gli stessi costituiscono rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (quando sarà disponibile) il prodotto o il servizio e, pertanto, sono suscettibili di generare un reddito diverso (art. 67, comma 1, lett. c-quater), del T.U.I.R.).

Tali redditi diversi di natura finanziaria devono essere indicati nel quadro RT del Modello Redditi – Persone Fisiche e sono soggetti ad imposta sostitutiva con aliquota del 26%.

Criptovalute e antiriciclaggio: l’Italia anticipa la V direttiva

Ad ormai quasi dieci anni dalla creazione della criptovaluta più conosciuta al mondo – i Bitcoin – molti Paesi sono ancora nella fase di analisi dei punti di forza e di studio delle criticità, tra le tante quelle legate all’anonimato delle transazioni e quelle inerenti la considerazione della “moneta virtuale” ai fini impositivi. In tale contesto va segnalata la lungimiranza del legislatore nazionale che, anticipando gli altri Paesi membri dell’UE, già nel D.Lgs. n. 90/2017 ha previsto alcuni adempimenti che sono ora contenuti nella V Direttiva europea in materia di contrasto al riciclaggio e finanziamento al terrorismo. La direttiva, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE, non è stata ancora recepita nel nostro ordinamento.

Una moneta virtuale “anonima” inventata da un “anonimo”

Questa potrebbe essere la sintesi delle criptovalute, nuova forma di pagamento “virtuale”, inventata da un soggetto o più soggetti ad oggi sconosciuti, nascosti dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto (?), che sta rivoluzionando già da qualche anno il mondo finanziario.

Ad ogni modo, chiunque ci sia dietro all’ invenzione dei Bitcoin, chissà se ha immaginato le “conseguenze” che tale metodo alternativo di pagamento sta portando, soprattutto in ottica dei presidi di prevenzione di contrasto al riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Le monete virtuali (c.d. criptovalute), detenute appunto solo in forma digitale, altro non sono che un file memorizzato su un computer, un server, o qualsiasi altro dispositivo dotato di memoria elettronica. Oggi oltre ai Bitcoin (che rimangono in assoluto i più conosciuti) contiamo numerose altre monete virtuali, nate in tempi diversi e talvolta per fini o platee diverse.

Il sistema che si muove dietro a tutte le valute digitali è però identico: altro non sono

che una funzione matematica complessa, un algoritmo, un codice alfanumerico, per la cui elaborazione servono calcoli complessi che vengono effettuati da parte di computer di tutto il mondo, collegati tra di loro tramite peer-to-peer per 365 giorni all’anno, sette giorni su sette e 24 ore su 24 (non è certamente questa la sede per approfondire tale tematica ma si pensi come tale sistema vada ad impattare su problemi di tipo energetico).

Questi calcoli, grazie a questa rete creata dal collegamento globale dei computer, vengono registrati/convalidati ed impressi in un sistema che si autoalimenta a seconda dell’operatività degli utenti che vogliono registrare le nuove transazioni.

Tale sistema prende il nome di blockchain: un database distribuito da nodi della rete che tiene traccia della generazione di moneta e delle transazioni. Le peculiarità del database sono:

  • anonimato sulle transazioni e sulla proprietà, garantito dalla crittografia dei file;
  • impossibilità di modificare le transazioni realizzate e convalidate dal sistema.

L’Italia gioca in anticipo

Il primo Paese dell’Unione Europea ad intervenire sulla regolamentazione del fenomeno delle criptovalute è stato quello italiano, giocando in anticipo rispetto agli altri Stati membri attraverso l’emanazione del D.Lgs. n. 90/2017, con il quale si sono recepiti alcuni degli interventi alla base della V Direttiva.

Un’importante presa di posizione da parte del nostro Legislatore, resasi necessaria al fine di colmare la totale mancanza di indicazioni da parte delle autorità centrali bancarie (europea e nazionale). Nello specifico, con il decreto sono state introdotte le definizioni di:

  • prestatori di servizi relativi all’ utilizzo di valuta virtuale (art. 1, comma 2, lettera ff): “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”
  • valuta virtuale (art. 1, comma 2, lettera qq): “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente.

Importante, inoltre, l’introduzione della previsione di un registro pubblico in cui saranno iscritti i prestatori di servizi inerenti alle criptovalute, così come risulta dal nuovo art. 17-bis, D.Lgs. n. 141/2010 (introdotto dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 90/2017) anche in considerazione di come sia ritenuta rilevante il momento della transazione dalla moneta fisica al bitcoin ai fini della tracciabilità del possessore di criptovalute; momento che sarà “fotografato” dal prestatore di servizi per intercettare eventuali indizi di operazione a rischio di riciclaggio.

Gli utilizzatori di tale sistema dovranno redigere determinati moduli da compilarsi in ogni dettaglio e l’anagrafica dei prestatori di servizi “cripto” sarà poi gestita in un registro pubblico informatizzato, la cui iscrizione è presupposto per lo svolgimento dell’attività, anche per chi era già operativo prima dell’entrata in vigore del decreto in argomento.

L’Italia può quindi considerarsi “precursore” per interventi mirati e puntuali sul tema dell’antiriciclaggio nel mercato delle criptovalute, auspicati in primis dagli operatori del settore, che non a caso hanno accolto favorevolmente le misure del D.Lgs. n. 90/2017.

Ad ogni buon conto, la finalità di tale intervento normativo è propria quello di interrompere l’anonimato garantito dalla sequenza alfanumerica, espressa in bitcoin, nel mondo virtuale; infatti nel momento in cui la moneta virtuale si trasforma in legale allora si dovranno fare i conti con la disciplina antiriciclaggio.

Quale tassazione in Italia?

In Italia, come nel resto del mondo, alcuni esercenti stanno iniziando ad accettare pagamenti in criptovaluta, permettendo, in una fase successiva, la conversione in euro attraverso apposite piattaforme.

Tuttavia l’argomento è complesso e per certi versi ancora controverso.

Ad oggi, non esistendo una vera e propria norma che sancisce i criteri da seguire in materia di tassazione sui bitcoin e criptovalute, si seguono le indicazioni date dalla stessa Agenzia delle Entrate, a seguito di un interpello formulato nel 2016.

Innanzitutto, è necessario premettere che l’acquisto di criptovalute attraverso l’utilizzo di una piattaforma online è da considerarsi trading di moneta virtuale e, pertanto, i guadagni verranno tassati al 26% e solo quando i fondi verranno prelevati dal conto in banca. Nel caso invece l’acquisto avvenga in maniera diretta attraverso un Exchange provider le tasse andranno pagate solo nel momento in cui si effettuerà la conversione in euro.

Bisogna poi distinguere la tassazione in base a chi genera il profitto, ossia imprese o privati.

Per le imprese

Per quanto concerne le imprese, i Bitcoin e le valute virtuali vanno considerati alla stregua di valuta estera. Praticamente, anche se non ci sia la specifica necessità di dichiarare quanti se ne posseggono, dovranno dichiarare tutte le operazioni effettuate così come avviene per le altre valute (euro, dollari, ecc.). Questo vale per qualsiasi criptovaluta si utilizzi.

Qualora l’impresa incassasse criptovalute (ed esempio, bitcoin) e scegliesse di conservarli su un proprio wallet (portafoglio), per venderli in una fase successiva, andrebbe a pagare le tasse nel momento in cui viene rilevata la plusvalenza.

Per le persone fisiche

Un privato cittadino che non svolge attività finanziaria finalizzata all’ottenimento di plusvalenze non deve pagare alcuna imposta, nemmeno qualora riesca a tutti gli effetti a realizzarne. La moneta virtuale è considerata alla stregua di una valuta estera e, pertanto, valgono le stesse regole per il cambio di qualsiasi moneta.

C’è da aggiungere che nel momento in cui, durante il corso di un anno, per almeno 7 giorni consecutivi si supera la soglia di possesso di criptovalute per un controvalore pari a 100 milioni di lire (circa 51.000 euro), allora l’Agenzia delle Entrate considera l’attività svolta dal privato quale attività speculativa, chiedendo in questo caso il pagamento delle tasse sulle eventuali plusvalenze.

Proprio l’Agenzia delle Entrate, attraverso la risoluzione n. 72/E del 2016 e l’interpello n. 956-39/2018, sancisce, tra le altre cose, che:

  • il Bitcoin è una moneta alternativa a quella tradizionale;
  • l’acquisto e la cessione di Bitcoin in cambio di euro sono da considerare operazione di cambio valuta, quindi non soggette ad IVA;
  • le società che operano con i Bitcoin possono ottenere guadagni o perdite dalle attività di cambio, e tali guadagni o perdite devono essere dichiarati in bilancio;
  • le imposte si pagano solo sulle eventuali plusvalenze;
  • in caso invece di privati se manca la finalità speculativa non vengono rilevati redditi;
  • è previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi – persone fisiche.

Quale tassazione nel resto del mondo?

Ovviamente non solo l’Italia si è occupata di risolvere la questione in materia di della tassazione dei “proventi” derivanti dalla compravendita di bitcoin.

Di seguito, una tabella riepilogativa di come alcuni Paesi esteri hanno deciso di “tassare” le criptovalute.

  • USA Le criptovalute sono considerate come una proprietà e dunque vengono applicate le stesse regole di tassazione.
  • Gran Bretagna – Vengono tassati i profitti ricavati dalle criptovalute con tre sono scaglioni fiscali: 20, 40 e 45%
  • Canada – Tassati i ricavi con due diversi scaglioni: 25 e 50%
  • Giappone e Sud Corea – Le criptovalute sono equiparate ad un qualunque metodo di pagamento con un’imposta fissa al 20% (Giappone) e al 24,2% (Sud Corea)
  • Russia – Viene applicata una tassa del 13% sulle plusvalenze
  • Svizzera – I guadagni in criptovalute sono assoggettati all’ imposta sul patrimonio. Non esiste un’aliquota fissa.
  • Sud Africa – Vengono tassati i guadagni. L’aliquota varia dal 18 al 45%
  • Germania – Le criptovalute sono considerate come denaro privato e son tassate al 25%
  • Polonia – Criptovalute riconosciute come mezzo di scambio nell’ e-commerce. Viene applicata una tassazione tra il 18 e il 25%
  • Thailandia – I guadagni sono tassati al 15%

In conclusione

Negli ultimi anni sempre più persone hanno iniziato ad interessarsi alle criptovalute, considerandole un valido mezzo di pagamento alternativo a quelli tradizionali.

Recentemente, la Heritage Sports Holding, società con sede negli Emirati Arabi Uniti che si occupa di investimenti nel mondo dello sport, ha acquistato il 25% del Rimini Calcio con moneta digitale, mentre a febbraio la squadra turca del Harunustaspor, piccolo club che milita nella settima divisione del calcio turco, ha acquistato il calciatore Omer Faruk Kiroglu, pagandolo in Bitcoin.

Questi due esempi sono il chiaro segnale di come i pagamenti in criptovaluta in futuro potrebbero diventare una prassi e, secondo chi ne sostiene la diffusione, un modo efficace per garantire, attraverso la tecnologia blockchain, la trasparenza e la sicurezza delle transazioni.

Una normativa specifica in materia risulterebbe quindi necessaria in quanto, nonostante l’Italia sia stato il primo paese ad interfacciarsi con la normativa europea prevedendo alcuni adempimenti contenuti nella V direttiva europea, anche se trasversalmente, ad oggi una disciplina specifica e dettagliata è praticamente assente.

Preme comunque sottolineare che la normativa europea sull’antiriciclaggio pone esclusivamente le basi ma lo scopo ultimo del legislatore comunitario rimane sempre quello di far recepire la normativa al fine di regolamentare al meglio le strutture giuridiche nazionali, considerando le innumerevoli problematiche del paese ricettore.

Per tali motivi è evidente l’urgenza di predisporre disposizioni normative che regolamentino dettagliatamente tali criptovalute che ormai hanno invaso l’immaginario collettivo anche per quanto concerne la vita di tutti i giorni, non solo in merito agli aspetti legati alla normativa antiriciclaggio, ma anche quella tributaria. Non sono più sufficienti infatti le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate.

Ci auguriamo che il Legislatore non tentenni ulteriormente e che, quanto prima, proceda a codificare il nuovo impianto normativo al fine di regolamentare il fenomeno anche ai fini tributari.

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